Se nei primi tre anni di vita i bambini non sono seguiti, accuditi, ascoltati allora ci si trova di fronte ad un misconoscimento che crea in loro la sensazione di non essere interessanti, di non valere niente. Crescono così senza una formazione delle mappe cognitive, rimanendo a un livello d’impulso. Gli impulsi sono fisiologici, biologici, naturali. Il passo successivo dovrebbe essere di passare dagli impulsi alle emozioni ovvero a una forma più emancipata rispetto all’impulso.
L’impulso conosce il gesto, l’emozione conosce la risonanza emotiva di quello che si compie e di quello che si vede. Poi si arriva al sentimento che è una forma evoluta, perché non solo è una faccenda emotiva, ma anche cognitiva. Il sentimento si apprende. Il sentimento è cognitivo e consente di percepire il mondo esterno e gli altri in maniera adeguata, con capacità di accoglienza e di risposta adeguate alle circostanze.
Il sentimento non è una dote naturale, è una dote che si acquisisce culturalmente. I bambini hanno bisogno di tempo-quantità. Hanno bisogno di essere riconosciuti passo dopo passo, disegno dopo disegno, domanda dopo domanda.
Non basta fare quattro week end giocosi per avere una relazione con i figli. E se non si ha questo tempo, dobbiamo rassegnarci a avere dei figli in cui le mappe emotive e cognitive non si formano. Queste mappe però sono fondamentali perché diventano la modalità con cui si fa esperienza, se le mappe non sono formate questa esperienza avviene a caso e non viene mai del tutto elaborata. Se le mappe emotive non si formano abbiamo un rapporto squilibrato, una risonanza emotiva inadeguata rispetto agli eventi da affrontare.
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